«Terminata la
lettura del volume “Tu es Petra” di Chiara Benedetta Rita Varisco mi chiedo e
senza infingimenti: ma che cosa ho letto? un volume di storia? un volume di
geografia?
Mi sono trovato in
Toscana: ho incontrato molti borghi, conoscendone i nomi e le vicissitudini.
Ho intravisto la
storia di una persona che va alla ricerca e si incammina lungo un percorso di
elevazione, accompagnato da un altro individuo che non è un duce e nemmeno una
guida, ma che aiuta a notare, ad osservare, a non dare mai per scontato ciò che
vede, ciò che ammira, ma è invitato sempre dall’Autrice ad andare “oltre”… ed è
un “oltre” carico di mistero che
rimanda a simboli non sempre di
facile lettura, né di immediata applicazione.
Si rischia -e
molto- di offendere il “simbolo”, parola più volte scritta dall’Autrice e che
chiede grande attenzione da parte del lettore.
Chi si accosta
all’Opera impara tante cose, viene a conoscere molte nozioni di ogni tipo
-storico, geografico, artistico-.
Il lettore non deve
avere fretta nel vedere la conclusione e deve fare tesoro di quanto in
apparenza superfluo: le immagini fotografiche e le cosiddette introduzioni ai
diversi capitoli sembrano poesie, ma non lo sono, così anche le frasi e i detti
di filosofi e narratori sia antichi, sia moderni… costituiscono un invito a
sostare qualche istante, a cercare di intravedere significati e sensi, visibili
soltanto agli occhi della mente e del cuore.
Da ultimo, ed è la
versione più profonda del volume: ma come mai tale titolo, “Tu es Petra”?
Quante pietre si
incontrano nel Volume che penetrano nel protagonista che le ammira, le legge,
le fa sue fino ad immedesimarsi con esse… e diventa lui pure Pietra.
Cambia il suo nome
perché si è incontrato con la Pietra angolare che è Cristo Gesù… vedi la lunga
e preziosa descrizione del Battistero di Soana e di Pitigliano… là da
catecumeno a “homo novus”; è pietra sulla Pietra!
Non fretta, ma
calma; non curiosità, ma desiderio di approfondire; non superficialità, ma
assimilazione…Certo ci vuole tempo. Certo ci vuole vita interiore.
Queste le mie prime
ed immediate impressioni che comunico ai lettori.
Vale la pena
leggere il volume; il costo non è il prezzo di copertina, ma il prezzo di te
stesso!»
Con queste parole,
schiette e sincere, Angelo Mascheroni ci introduce alla lettura della seconda
edizione di “Tu es Petra”, arricchita di ulteriori fotografie e frammenti
poetici.
Un dialogo con i
simboli del passato, testimonianze artistiche e paesaggistiche capaci di
entusiasmare la mente e la fantasia del lettore che diviene spettatore del
percorso che il protagonista compie lungo il filo dorato della sapienza, in cui
l’agente della trasmutazione non è il fuoco elementare ma il fuoco spirituale
dell’amore, attraverso la consapevolezza del presente e sempre memore di ciò
che fu.
L’Opera, con
intento divulgativo, affronta la relazione con “il simbolo” attraverso un
percorso che Alessandro Meluzzi, nella sua prefazione al Testo, definisce esoterico
e iniziatico: «Esoterico perché tende alla ri-velazione di misteri archetipici,
iniziatico perché li comunica per allargare i confini e i contorni della
coscienza di chi li riceve. È un linguaggio che parla direttamene alle radici
dell’anima per accendere quel “fuoco interno”, chiave alchemica dell’Umano, la
cui autoconoscenza è la meta di ogni gnôthi sautón. Un “conosci te stesso” che
è la base di ogni sapienza, non solo sul piano dell’introspezione, ma anche su
quello dei percorsi di ogni storia umana.»
Il Volume presenta undici capitoli il cui titolo riporta
al mistero dell’homo religiosus che
varca lo spazio interiore per trovare il
Punto, la Magna Opus, il Fiore della Vita, un Triplice Segreto, il Centro
Sacro, il Demone Filosofo, il Labirinto, la Triplice Cinta, il Nodo di
Salomone, Compassi e Squadre, il Nodo di Apocalisse.
Tutti questi undici “elementi” -da sottolineare il
simbolismo numerico che rimanda al pentacolo sommato all’esagramma e che
determina la stella ad undici punte- sono preceduti da un incipit che porta a riflettere e conduce alla sintesi conclusiva.
E così l’Ifigenia in Aulide (1250-1251)
di Euripide: «la cosa più bella per
gli uomini è vedere la luce del sole, dall’altra parte non c’è nulla» ci
introduce al “Punto”.
Per la “Magna Opus” il Sommo esprime appieno il desiderio
di principiare la vita nova: «In quella parte del
libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova
una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo
scritte le parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e
se non tutte, almeno la loro sentenzia» [Dante, Vita Nova, 1].
Un inno omerico per comprendere il “Fiore della Vita”: «e Demetra a tutti mostrò
i riti misterici,/ a Trittolemo e a Polisseno, e inoltre a Diocle,/ i riti
santi, che non si possono trasgredire né apprendere/ né proferire: difatti una
grande attonita e atterrita reverenza/ per gli dèi impedisce la voce./ Felice
colui, tra gli uomini viventi sulla terra,/ che ha visto queste cose:/ chi
invece non è stato iniziato ai sacri riti,/ chi non ha avuto questa sorte/ non
avrà mai un uguale destino, da morto,/ nelle umide tenebre/ marcescenti di
laggiù» [Omero, Inno a Demetra (476-482)].
L’Alcibiade
primo di
Platone sembra rivelare un “Triplice Segreto”: «colui che ammonisce di
conoscere se stesso,/ ci ordina di conoscere la nostra anima…/ Possiamo noi
indicare nell’anima una parte più divina/ di quella ove risiedono la conoscenza
ed il pensiero?/ Questa parte dell’anima è simile al divino,/ e se la si fissa
s’impara a conoscere tutto ciò che vi è di divino,/ intelletto e pensiero,/ si
ha la migliore possibilità di conoscere se stessi/ nel modo migliore».
Un segreto, forse, che può condurre al “Centro Sacro”: «quando l’anima,
restando in sé sola,/ volge la sua ricerca,/ allora si eleva a ciò che è puro,/
eterno, immortale» [Platone, Fedone (79 d)].
Il
frammento 245b dal Fedro di Platone suggerisce la manikè concessa dal “Demone Filosofo” «Tante
grandi e splendide opere, e ancora maggiori posso enumerarti/ come dono del
delirio che viene dagli dèi! Non lo si tema quindi per se stesso,/ né ci
sconcerti quell’argomento che ci mette in guardia per farci preferire/ un amico
in senno in luogo di uno appassionato./ Ma questa teoria canti vittoria,/ solo
dopo aver dimostrato che l’amore è inviato dagli dèi all’innamorato/ e
all’amato non per loro vantaggio./ Sta a noi dimostrare il contrario,/ cioè che
questa specie di delirio/ è la piú grande fortuna concessa dagli dèi».
Le celeberrime parole di papa Pio II tratte dai suoi Commentarii sono preludio di antiche sapienze racchiuse nel “Labirinto”:
«ascendi,
o viatore, la strada che al monte conduce,/ ed ivi troverai l’erba di Carlo,
che salvò il suo esercito dalla peste,/ e che guarisce da ogni infermità».
Nuovamente il filosofo, per discutere della “Triplice
Cinta”: «la
sapienza, infatti, fa parte delle cose più belle/ e Amore è amore del bello,
sicché è necessario che Amore sia filosofo/ e, in quanto filosofo, sia in mezzo
tra il sapiente e l’ignorante» [Platone, Simposio].
Una delle più importanti raffigurazioni ebraica
sviluppatasi successivamente al terzo re d’Israele è il “Nodo di Salomone” e, dunque, «l’intima
natura delle cose ama nascondersi» [Eraclito].
Il penultimo “simbolo” è costituito da una diade:
“Compassi e Squadre”, per comprenderlo occorre assimilare quanto dice l’inventore
della psicoanalisi moderna Carl Gustav Jung: «chi cerca trova, e
colui che sempre cerca, sempre trova. Per questo sono felice di non vedere
alcuna conclusività da nessuna parte, bensì un’oscura distesa piena di misteri
e di avventura».
In ultimo, l’undicesimo glifo, è il “Nodo di Apocalisse” ed agevolano la sua lettura i
versi carducciani tratti da Sogno
d’estate: «tra
le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti/ la calda ora mi vinse:
chinommisi il capo tra ‘l sonno/ in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su ‘l
Tirreno./ Sognai, placide cose de’ miei novelli anni sognai./ Non più libri: la
stanza dal sole di luglio affocata,/ rintronata da i carri rotolanti su ‘l
ciottolato/ de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,/ cari
selvaggi colli che il giovine april rifiorìa».
Una
frase su tutte può aiutare a comprendere e a raggiungere pienamente il
traguardo, la meta prefissa dall’Autrice che descrive un personaggio alla ricerca,
che trova quanto desiato andando “oltre” e raggiungendo, pienamente, l’homo
novus: «qui scit comburere Aqua et lavare Igne facit de Terra caelum et de
Caelo terram pretiosam».
Solo vivendo tutto questo, dopo mille tortuosi
percorsi, perdendosi per i sentieri tra la Terra e il Sacro Monte,
il protagonista riuscirà, in ultimo, a riconoscersi nel proprio personalissimo processo
di individuazione, in quella singolare elevazione spirituale che lo porterà
ad affermare il suo “Tu es Petra”!